La sua opera si sviluppa attorno al gesto della raccolta, della ripetizione e della classificazione di immagini tratte dalla cultura visiva quotidiana: fotografie anonime, oggetti comuni, ritagli di giornale, figurine, cartoline, bambole, libri trovati. Con uno stile volutamente semplice e disadorno, Feldmann ha costruito un archivio infinito del banale, spogliando l’arte della sua aura per restituirla alla vita di tutti i giorni. Fin dagli anni Sessanta ha rifiutato la firma, la spettacolarizzazione e il mercato, producendo libri autopubblicati, installazioni e progetti seriali che interrogano il senso stesso dell’opera e del collezionare. Le sue serie – come “100 anni” con i ritratti di persone da 1 a 100 anni, o i suoi celebri “album” fotografici – propongono un’estetica del déjà-vu, della ripetizione e della memoria collettiva, mettendo in discussione l’autenticità, l’originalità e il valore attribuito alle immagini. Feldmann ha saputo trasformare l’atto del guardare in un’operazione critica e poetica insieme, mostrando come anche il frammento più anonimo del quotidiano possa rivelare una forma di conoscenza, ironia o bellezza.
Fonti:
Wikipedia
Bourriaud, N. (2002). Postproduction: Culture as Screenplay: How Art Reprograms the World. Lukas & Sternberg.
Busch, J. A. (2012). Hans-Peter Feldmann: 272 Pages. Koenig Books.
Dziewior, Y. (2010). Hans-Peter Feldmann. Kunsthalle Wien / Walther König.
Godfrey, M. (2009). Conceptual Art. Phaidon Press.
Obrist, H. U. (2009). Hans-Peter Feldmann: Interview. In H. U. Obrist, Interviews Volume 2 (pp. 158–164). Charta.
MACBA – 100 Jahre (2001)
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