Roman Opałka

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Roman Opałka (1931–2011) è stato un artista concettuale franco-polacco noto per aver dedicato quasi cinquant’anni della sua vita a un unico, monumentale progetto: l’atto di dipingere il tempo che passa. Questo progetto, intitolato 1965 / 1 – ∞, è considerato una delle più coerenti e radicali esplorazioni visive della temporalità nella storia dell’arte contemporanea.

 

 

Nel 1965, Opałka decide di cominciare a dipingere numeri consecutivi a partire da 1, in ordine progressivo, su tele di uguali dimensioni da lui chiamate détail (dettagli), con l’intenzione di continuare questa pratica fino alla morte. Ogni détail contiene migliaia di numeri dipinti a mano con precisione meticolosa, in bianco su fondo nero all’inizio, poi grigio, e infine progressivamente schiarito. A partire dal 1972, l’artista comincia a schiarire il fondo di ogni nuova tela aggiungendo l’1% di bianco, tendendo idealmente al bianco totale: “vers le blanc” come lui stesso definì questo processo. In parallelo, a ogni seduta di pittura Opałka registrava vocalmente i numeri pronunciati e realizzava un autoritratto fotografico in bianco e nero.

L’opera di Opałka non è solo una sequenza numerica ma una meditazione esistenziale sul tempo, la durata e la finitezza della vita umana. Attraverso la ripetizione e la disciplina, egli trasforma la propria biografia in opera d’arte. L’atto del contare, apparentemente impersonale, diventa confessione quotidiana, testimonianza della presenza e della dissoluzione.

Il progetto si interrompe con la morte dell’artista nel 2011. L’ultimo numero dipinto da Opałka è stato 5.607.249. La portata concettuale della sua opera è stata paragonata a quella di artisti come On Kawara o Hanne Darboven, ma la tensione poetica e filosofica del suo lavoro ne fa un unicum nel panorama dell’arte del XX e XXI secolo.

All’interno del suo progetto più celebre 1965 / 1 – ∞, Roman Opałka ha affiancato alla pratica pittorica un’altra componente fondamentale: l’autoritratto fotografico. A partire dal 1972, l’artista iniziò a realizzare un’autofotografia in bianco e nero alla fine di ogni sessione di lavoro, sempre con lo stesso inquadramento, lo stesso sfondo neutro e la stessa luce. Lo scatto lo ritraeva frontalmente, privo di espressione, vestito con camicie bianche, in una posa quasi rituale.

Questa serie di fotografie, apparentemente fredde e ripetitive, costituisce una narrazione silenziosa del tempo che agisce sul corpo. Le immagini, affiancate alla progressione numerica dei dipinti e alla registrazione vocale dei numeri pronunciati, creano un autoritratto pluristratificato in cui il corpo, la voce e la scrittura si intrecciano come tracce della vita che passa. L’autoritratto, nella sua ripetizione metodica, documenta l’invecchiamento dell’artista, registrando impercettibili mutamenti fisici e la trasformazione dell’identità nel tempo. Opałka concepiva questo gesto fotografico come parte integrante della sua opera, non un’aggiunta documentaria, ma un rituale esistenziale che completava la dimensione visiva e concettuale del progetto. Come ha dichiarato lui stesso: “Tutto è importante, tutto è parte dello stesso processo. Io sono l’opera.” Nel contesto della fotografia concettuale, la pratica di Opałka si avvicina a quella di artisti come Tehching Hsieh o Bas Jan Ader, ma si distingue per la coerenza assoluta con cui ha unito linguaggi differenti — pittura, fotografia, suono — in un’unica tensione poetica rivolta alla visualizzazione del tempo come materia e destino.

Fonti:

Opałka, Roman. Oeuvres 1965–1995. Paris: Éditions Cercle d’Art.

Bickers, Patricia. Roman Opałka: Painting the Infinity of Time. London: Thames & Hudson.

Merewether, Charles. The Archive. Cambridge, MA: MIT Press.

Taylor, Brandon. “Roman Opałka and the Measurement of Time.” Art Monthly, No. 349.

Fondation Opałka. “Biography and Works.” https://www.fondationopalka.org .

Le fotografie sono state prese dal web e utilizzate esclusivamente a fini formativi.

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