Il sepolcro giardino e il fotografo che lo ha interrogato
Tante volte ho percorso gli spazi all’interno del Memoriale Brion, a San Vito d’Altivole in Veneto: sotto il sole cocente d’estate, durante una fredda pioggia autunnale insieme ai miei studenti, in solitudine nel mezzo di fiorite e fresche primavere e persino davanti a timide nevicate invernali. Ci sono stata in mattinate silenziose, al tramonto, nel momento in cui tutto si fa più dolce e accogliente, mi sono fermata davanti al suo cancello persino in una tarda serata estiva, quando lo spazio era immerso nel buio e nel silenzio. Un’ossessione direte voi…forse…o forse semplicemente un luogo che ti entra nel cuore.
E per dieci anni qui è tornato il grande fotografo emiliano Guido Guidi, per cogliere sui muri il passare del tempo, per analizzare e raccontare in modo quasi tormentato, ma anche così affascinante, i dettagli, da cui era a sua volta ossessionato l’architetto. Immagini intime che sono riflessioni sulla caducità delle cose.
Il Memoriale Brion e il suo architetto
Carlo Scarpa (1906-1978) https://www.domusweb.it/it/progettisti/carlo-scarpa.html https://www.carloscarpa.it/ è un architetto veneziano attento ai luoghi da cui tra ispirazione, capace di utilizzare i limiti come elementi di progetto, concentrato sui dettagli, che diventano protagonisti, efficace nel mettere in rapporto i materiali poveri con quelli più preziosi e nell’utilizzare la luce per costruire gli spazi.
Ala scarpiana della gipsoteca di Possagno. @museocanova
Molti bellissimi progetti (a pochi minuti potrete visitare anche la meravigliosa, ovviamente per i gessi di Antonio Canova oltre che per lo spazio che li accoglie, Gipsoteca di Possagno https://www.museocanova.it/, altra esperienza sensoriale legata alla luce e all’acqua, oppure, nella vicina Verona, il Museo di Castelvecchio https://www.museiverona.com/museo-di-castelvecchio/), ma questo era senza dubbio quello che più amava, presso il quale chiede di essere sepolto.
Pianta del Memoriale Brion
Di cosa si tratta esattamente? Un luogo di sepoltura voluto dalla famiglia Brion https://www.comune.altivole.tv.it/home/dettaglio/vivere-info/memoriale-brion , ma nello stesso tempo molto di più di uno spazio privato, un rasserenante giardino, un viaggio senza gerarchie tra piccole e molto diverse architetture.
Elena Barbaglio, Memoriale Brion (ingresso dal vecchio cimitero), 2017
Elena Barbaglio, Memoriale Brion (il padiglione di meditazione), 2017
La scoperta inizia dal vecchio cimitero, affiancando due anelli-finestre intrecciati e profilati di tessere musive, oppure direttamente dalla strada, costeggiando la piccola chiesa, spazio raccolto e sapientemente illuminato. Nel giardino troviamo poi le tombe dei coniugi Brion al di sotto di un Arcosolio collocato all’incrocio della L che caratterizza la pianta del complesso, l’Arca con le tombe dei parenti, il padiglione di meditazione, come un’isola in uno specchio d’acqua, il giardino dei cipressi.
“D’estate è molto bello; volano le rondini… Questo è l’unico lavoro che vado a vedere volentieri, perché mi sembra di aver conquistato il senso della campagna, come volevano i Brion. Tutti ci vanno con molto affetto; i bambini giocano, i cani corrono: bisognerebbe fare tutti i cimiteri così”.
Così vede il suo progetto l’architetto, ma cosa ci mostra il fotografo?
Guido Guidi
Guido Guidi (1941) https://www.youtube.com/watch?v=_aYYh1wYsdo è uno dei rappresentati della fotografia italiana che si occupa anche delle cose ai margini, del paesaggio, degli edifici non monumentali, come ci mostra anche partecipando, nel 1984, al progetto “Viaggio in Italia” ideato da Luigi Ghirri.
@Guido Guidi, Ravenna, 1972
@Guido Guidi, Lungo l’Atlantikwall, 2015
Le numerose esplorazioni in questo cimitero della famiglia Brion, all’inizio su commissione del Canadian Centre for architecture di Montreal, sono proseguite poi per dieci anni in modo autonomo fino a realizzare un lavoro costituito da oltre 600 fotografie, realizzate con un banco ottico Deardorff 8×10.
Si tratta di immagini intime, delicate, forse anche per i colori freddi e leggermente desaturati, che colgono, attraverso sequenze, i mutamenti della luce e la formazione di ombre sul cemento grezzo: fasce, triangoli, frecce che cambiano in forma e dimensione durante i diversi momenti della giornata, forme che ci indicano direzioni o sottolineano particolari e materiali. È il racconto del tempo che scorre, del mutare delle cose e della corrosione dovuta agli agenti atmosferici, ma anche è anche la visualizzazione del percorso mentale e progettuale di Carlo Scarpa, di cui Guidi era stato allievo alla IUAV (istituto Universitario di Architettura di Venezia). E, infine, è sicuramente la volontà di andare oltre ciò che si presenta ai nostri occhi.
@Guido Guidi, note di lavoro
@Guido Guidi, fotografia di prova con appunti per lo scatto definitivo. Zona dello specchio d’acqua
@Guido Guidi, fotografia con schemi e appunti. Zona della cappella
@Guido Guidi, fotografie della fioriera nella zona dello specchio d’acqua, 2003
@Guido Guidi, sequenza nella zona dello specchio d’acqua.
Conclusione
Attraverso le fotografie di Guido Guidi, alcune delle quali raccolte in un libro, questo spazio viene quindi, più che raccontato o documentato, interrogato. Non si tratta di mostrare l’aspetto visivo delle forme ma di tirar fuori pensieri, geometrie nascoste e aspetti simbolici, ad esempio la presenza dell’alfa e dell’omega per rappresentare un percorso o l’acqua come momento di passaggio, portando in luce la nascita e la fine di cicli di vita e mettendo in moto la macchina del ricordo. E questo scomparire ci porta infine a meditare sulla morte, come del resto fa, senza inquietudine, l’architettura stessa.

di Elena Barbaglio | 23/5/2025
Le fotografie sono state prese dal web e utilizzate esclusivamente a fini informativi.
