Nan Goldin è un pugno che arriva dritto nello stomaco
La mostra “This Will Not End Well (Non andrà a finire bene)”: l’universo di Nan Goldin”.
C’è voluto un po’ per ritrovare le parole uscendo dalla mostra all’HangarBicocca di Milano dedicata a questa fotografa e artista.
Le sue immagini, foto e video, intrecciate a un sonoro che sembra pulsare con loro, sono come un colpo improvviso: a volte apparentemente innocue, altre crude e invadenti, ma sempre capaci di scuotere nel profondo!
Nancy, “Nan”, Goldin (1953) è una fotografa statunitense segnata da una vita difficile. Le tragedie familiari – tra cui il suicidio dell’amata sorella Barbara, tenuto nascosto dai genitori per “rispetto delle apparenze” – hanno inciso profondamente sul suo percorso, spingendola verso un’esistenza fragile, borderline, ma anche verso una forza che le ha permesso di buttar fuori questo dolore attraverso l’arte. A soli 16 anni inizia a fotografare. Le sue immagini diventano da subito un racconto spietato e sincero, la ricerca della verità a ogni costo, la volontà di “sbattere in faccia al mondo” la propria vita. Fotografa ciò che vive, ciò che la circonda, ciò che la ferisce e la sostiene.

Nan Goldin, Sirens, 2019-2021. Vista dell’installazione, Marian Goodman Gallery, New York, 2021. Courtesy of the artist and Marian Goodman Gallery. Photo: Alex Yudzon.

Nan-Goldin, Jimmy Paulette and tabboo in the bathroom, New York City, 1991© Nan Goldin Courtesy Gagosian.

Nan Goldin Heart-shaped bruise, New York City, 1980 © Nan Goldin Courtesy Gagosian.
«Quando fotografo non scelgo le persone che voglio ritrarre; i miei scatti scaturiscono dalla mia vita. Nascono dalle relazioni, non dall’osservazione.»
Ogni fotografia è intima, vissuta, radicata nella sua esperienza.
Racconta il mondo della droga e delle dipendenze in cui si è ritrovata a vivere, senza mai giudicare, con uno sguardo partecipe e rispettoso.
Ed è proprio questo racconto intimistico, senza filtri e senza condanna, che influenzerà un’intera generazione di fotografi.
Nel tempo Goldin diventa anche attivista, impegnandosi ad esempio nella lotta contro l’abuso di oppioidi negli Stati Uniti e denunciando apertamente la famiglia Sackler, proprietaria della società farmaceutica accusata di aver alimentato questa problematica.

Nan Goldin, Trixie on the cot, New York City 1979 © Nan Goldin.

Nan Goldin, Twisting at my birthday party, New York City 1980 © Nan Goldin.
Il mondo intorno a lei
Nelle sue fotografie compaiono amici, amanti, conoscenti: sono istantanee di vita vissuta, drammatiche, dirette, strazianti, che ci portano nella sua vita e ci spingono contemporaneamente a ritrarci da essa. È travaglio e dolore continuo, un faccia a faccia con una umanità che spesso cerchiamo di ignorare e tenere a distanza. Un mondo di affetti e perdite, di dipendenze fisiche ed emotive, di corpi vulnerabili, di trasgressione e violenza; un mondo che incarna la mancanza di quell’equilibrio che ogni giorno cerchiamo nella nostra vita.
Sono narrazioni visive specifiche, eppure universali. Sempre emotivamente forti.

Nan Goldin, Self-portrait in kimono with Brian, New York City 1983 © Nan Goldin.

Nan Goldin, Nan one month after being battered, 1984, @Nan Goldin.
L’autoritratto
E poi ci sono i suoi autoritratti.
Tra tutti, il più celebre: Nan One Month After Being Battered (1984), Autoritratto un mese dopo essere stata picchiata, spesso utilizzato come memoria e monito nella giornata contro la violenza sulle donne.
Goldin si mostra con le sue ferite, fisiche e interiori, portando alla luce una vita fatta di dipendenze tossiche, passioni, cadute, rinascite.
Niente è nascosto: l’amore e la disperazione, la vita e la morte si sfiorano e si confondono nelle sue immagini.

Veduta della mostra “This Will Not End Well” presso Pirelli HangarBicocca, Milano, 2025. © Nan Goldin. Fotografia di Agostino Osio. Courtesy dell’artista, Gagosian e Pirelli HangarBicocca, Milano.
La mostra
https://www.artribune.com/arti-visive/2025/11/nan-goldin-milano/
Lo spazio iniziale è buio, isolante, inquieto. Il sonoro del collettivo Soundwalk ne costituisce il respiro. Poi cominciamo ad intravedere una serie di padiglioni, dai colori fluorescenti come la notte, progettati da Hala Wardé (già collaboratrice dell’artista): ognuno un mondo, un capitolo, il racconto di un frammento di vita (gli amici trans, l’infanzia ferita, le droghe, come astinenza e come estasi, l’eclissi solare come esperienza totalizzante, i bambini come spiriti estranei al contesto in cui si trovano).
All’interno, le immagini scorrono, non come in un reportage ma come in un diario sensoriale: fotografie, video e musica si intrecciano senza soluzione di continuità, con un ritmo che coinvolge. L’effetto è profondamente diverso da quello di una mostra fotografica in cui “semplici” immagini fisse, stampate, sono da osservare con i propri tempi.

Nan Goldin, Stendhal Syndrome, 2024. Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2025 © Nan Goldin Courtesy dell’artista, Gagosian, e Pirelli HangarBicocca, Milano. Fotografia Agostino Osio.

Nan Goldin, Veiled Woman, 2010. @Nan Goldin Courtesy Gagosian.
Tra i lavori recenti, uno dei più poetici è Stendhal Syndrome (2024): capolavori della storia dell’arte dialogano con le fotografie della sua comunità in una personale reinvenzione delle Metamorfosi di Ovidio.
È il malessere provocato dalla troppa bellezza dell’arte, ma anche dell’intensità della vita.

Nan Goldin, Sisters, Saints, Sibyls, 2004-2022. Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2025 © Nan Goldin Courtesy dell’artista Kramlich Collection e Pirelli HangarBicocca, Milano. Foto Agostino Osio.
Il percorso raggiunge l’apice negli spazi, vuoti e scarni, del cubo, in cui viene “messo in scena “il suicidio della sorella Barbara, Sisters, Saints, Sibyls (2004- 2022), a soli 18 anni, che era stata ricoverata in un ospedale psichiatrico. Qui si sale su di una piattaforma e, anche grazie agli elementi scultorei, ci si trova immersi in una atmosfera sospesa, quasi sacra. Un trittico proiettato mescola ricordi personali e immagini simboliche, fondendo vita intima e riflessioni collettive …non può che esserci commozione.

Nan Goldin, The Ballad of Sexual Dependency, 1981-2022. Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2025 © Nan Goldin Courtesy dell’artista, Gagosian, e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio.

Nan Goldin, Couple in bed, Chicago 1977 © Nan Goldin.
The Ballad of Sexual Dependency (1981-2022)
Uno dei padiglioni è interamente dedicato alla sua opera più famosa: “The Ballad of Sexual Dependency”. Le oltre 700 immagini, scattate durante molti anni, scorrono rapide: feste, quotidianità, intimità, fragilità. È la sua comunità, la sua famiglia di elezione, raccolta in un album di ricordi che oggi ha un peso ancora più grande, perché molti dei protagonisti sono morti di overdose o AIDS. Continuamente rieditata, l’opera ha però mantenuto l’eterogenea colonna sonora del 1987: «Alcuni brani sono poco noti; le persone che conosco mi hanno consigliato della musica, io ho raccolto altre canzoni in giro per il mondo. Ovunque sia andata a presentare lo slideshow, qualcuno mi ha fatto scoprire un altro brano musicale».
Qui la raccolta viene presentata in una versione da 42 minuti.

Nan Goldin, Self-Portrait with Eyes Turned Inward, Boston, 1989 © Nan Goldin.
Conclusione
La fotografia di Nan Goldin (ascoltate questa bellissima puntata di Morgana https://storielibere.fm/morganaep-39-nan-goldin/) racconta senza censure anche ciò che è più crudele.
È lontana dalla fotografia equilibrata, intima, minimal e raffinata che amo di più… eppure è impossibile non riconoscerne la forza e la capacità di lasciare il segno.
Goldin ci costringe ad aprire gli occhi su un mondo altro, sul dolore, sulla fragilità, sulla resistenza di una comunità e di una donna che vuole salvare tutto quello che può dalla dimenticanza…perché questo è il suo mondo e lei è presente in ogni fotografia che scatta, anche quando in essa non compare.
«La fotografia mi ha salvato spesso la vita: ogni volta che ho passato un periodo traumatico sono sopravvissuta scattando. Il mio lavoro si basa sulla memoria… perché chi ho amato possa vivere per sempre.»
Note informative
Mostra a cura di Fredrik Liew.
Presentazione all’HangarBicocca a cura di Roberta Tenconi con Lucia Aspesi.
Visitabile fino al 15 febbraio 2026 (ingresso gratuito).
Consigliata la visita durante la settimana o al mattino, per una fruizione più intensa in una situazione non troppo affollata.
Di Elena Barbaglio | 8/12/2025
Fonti:
(https://it.wikipedia.org/wiki/Nan_Goldin https://www.vogue.it/article/nan-goldin-milano-pirelli-hangar-bicocca-this-will-not-end-well)
Le fotografie sono state prese dal web e utilizzate esclusivamente a fini informativi.
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