L’invadenza del sogno: la realtà inquieta di Sandy Skoglund
Cosa vediamo osservando questa immagine? Cosa rappresenta?
Sicuramente colpisce il contrasto di colore, l’atmosfera inquietante, lo spaesamento ci investe…sembra reale e irreale allo stesso tempo…ad alcuni sembra un sogno.
“Le mie immagini appaiono come un sogno, agli altri, non a me. (…) Non considero il mio lavoro in relazione diretta con il surrealismo. Credo che riguardi piuttosto la condizione di contrasto e complessità che oggi caratterizza gli Stati Uniti. Non penso a queste immagini come a sogni. C’è un solo elemento che assomiglia a un sogno: l’invadenza. Le mie immagini presentano una componente realistica e un’altra irreale che, invadendo la realtà, interferisce con essa”.
A me colpisce l’invasione degli animali nello spazio in rovina, dove tutto, abiti compresi, è grigio e triste, gli arredi sono rotti e i gatti, che sono ovunque, stanno distruggendo anche quella sedia che forse era destinata alla donna. I felini sono realistici e si muovono in modo realistico, ma il loro colore innaturale e l’atteggiamento invadente crea inquietudine. Come possiamo ignorare la tossicità di ciò che abbiamo intorno? Perché le due persone anziane sembrano stanche e indifferenti? Quanto ci sembra meravigliosa e angosciante questa scena? Si presenterà così il mondo dopo una catastrofe nucleare?
“Non è così, forse, la vita che ci circonda? Questa è la condizione umana. Nel momento in cui veniamo alla luce, la realtà è uno shock, è un posto nuovo, pieno di ansia e di paure. E lo scopo dell’arte è diminuire quelle paure”.

Immagine tratta dalla serie Rabbits di David Lynch del 2022.

Hieronymus Bosch, Trittico delle Delizie, 1503-4 o 1505-10. Particolare del pannello centrale.
E così le fotografie di Sandy Skoglund ci richiamano il perturbante dei film di David Lynch (https://www.treccani.it/enciclopedia/david-lynch_(Enciclopedia-del-Cinema)/) e scavano nella nostra memoria fino a riportarci alle visioni di Hieronymus Bosch (https://www.treccani.it/enciclopedia/hieronymus-bosch_(Storia-della-civilt%C3%A0-europea-a-cura-di-Umberto-Eco)/).

Sandy Skoglund, New revenge of the goldfish, 1981. ©Sandy Skoglund – Courtesy Paci contemporary gallery.


Sandy Skoglund, New revenge of the goldfish, 1981. ©Sandy Skoglund – Courtesy Paci contemporary gallery.

Copertina del romanzo di Margaret Mazzantini Venuto al mondo, 2008.
Revenge of the Goldfish
Pesci in terracotta dipinti di un arancione brillante e appesi a fili trasparenti in una stanza totalmente dipinta di blu, all’interno posano una persona adulta e un bambino, ancora una volta un’atmosfera surreale, congelata in un momento: è questa forse la fotografia più famosa di Sandy Skoglund…tanto suggestiva da diventare ispirazione per il gruppo indie-rock degli Inspiral Carpets e da essere scelta per la copertina di un libro di Margaret Mazzantini.
Un’opera visivamente accattivante ma ambigua e misteriosa, che parla di vendetta, di come esseri solitamente piccoli, innocui, “carini”, possano sopraffare la vita umana nella sua quotidianità…un lavoro che trasforma una camera da letto in un acquario e apre a tante interpretazioni.

Sandy Skoglund The Cocktail Party 1992. ©Sandy Skoglund – Courtesy Paci contemporary gallery.

Dettaglio del set della fotografia Shimmering Madness, 1998. Fotografia di Elena Barbaglio, 2019.
Tra realtà e finzione
Artista e fotografa statunitense Sandy Skoglund (1946) (http://www.sandyskoglund.com/ ) ci pone davanti ad ambienti reali in cui però i colori si alterano, i contrasti si accentuano, gli animali li affollano fino a creare un ambiente ansiogeno, bello e angosciante al tempo stesso, quotidiano e magico.
In molti lavori il cibo è protagonista, come elemento comune di tutto il regno animale, con cui tutti si possono identificare senza rendersene conto, ma anche qui è un cibo sfacciato, che copre ogni cosa, vivente e non.
La fotografia da Sandy Skoglund rilegge i cambiamenti sociali, le paure collettive e le situazioni storiche attraverso l’immaginazione. Gli spazi della vita quotidiana (camere da letto, salotti, cucine o cinema all’aperto) assumono una vita altra, spesso caratterizzata dall’horror vacui, che gli esseri umani condividono.


Sandy Skoglund, Breathing glass, 2000. ©Sandy Skoglund – Courtesy Paci contemporary gallery. Immagine finale e set con le libellule in vetro.

Sandy Skoglund e gli ultimi ritocchi al set di Radioactive cats.
Il processo e lo scatto finale
Il risultato del suo lavoro è frutto di un percorso, complesso e raffinato, che mette insieme pittura, scultura, installazione, regia e fotografia.
Tutto ha inizio con l’allestimento di un set, in cui sono inseriti oggetti, trovati o costruiti appositamente dall’artista in materiali diversi (tra cui creta, resina, vetro, metallo).
Successivamente vengono messi in scena i personaggi, che agiscono nello spazio, muovendosi al suo interno.
Infine la macchina fotografica, quando l’opera è chiamata a concludersi, congela un istante, uno dei tanti, dei protagonisti in azione, che è prima di tutto sintesi di un percorso (documentato anche in filmati come quelli raccolti nel DVD “The camera’s view & Shimmering Madness Installation” (del 2005) e che per questo ne racchiude la memoria.
È un processo che si sviluppa nel tempo e che visualizza quest’ultimo da un punto di vista estetico, perché il tutto è composto come fosse un dipinto classico, con il controllo attento di luci e ombre (grandissimo e tra i primissimi esempi di Staged photography, ovvero di fotografia allestita) ed è questa cristallizzazione del divenire che si fissa nella nostra mente.
«Sì, nelle fotografie finali del mio lavoro la figura è presente in un equilibrio precario. È come se l’essere umano si trovasse imprigionato, come un animale preso in trappola. Ma l’essere umano è intrappolato nella realtà. Sono d’accordo che l’arte del Rinascimento è un modello per me, in cui il centro di gravità e la prospettiva scaturiscono dall’essere umano»

Sandy Skoglund, Winter, 2019. ©Sandy Skoglund – Courtesy Paci contemporary gallery.



Dettagli dal set di Winter. Fotografie di Elena Barbaglio, 2019.
Winter
Dal 2004 la fotografa lavora sulle conseguenze psicologiche delle 4 stagioni, sul mutare delle cose che poi ritornano come erano prima, sull’equilibrio tra uomo e natura. Di questo lavoro il secondo capitolo è Winter (dal 2008 al 2019) https://www.pacicontemporary.com/artisti/skoglund-sandy-2/, che ha richiesto 10 anni di preparazione, di prove e tentativi, di fiocchi di neve realizzati prima a mano in ceramica e poi stampati in 3D, e, per la prima volta, l’unione di manuale e digitale. Winter ci racconta una stagione ricca di contrasti, bella e spaventosa, dove tutte si tinge di bianco ma il gelo stringe la vita nella sua morsa. Colpisce che il termine del lavoro sia avvenuto a breve distanza dalla Pandemia di Covid 19, quando il mondo era come congelato in un lungo inverno.
“È stata un’avventura. Mentre imparavo a scolpire ho dovuto accettare che il risultato finale sarebbe stato realizzato da una macchina, per questo motivo c’è una sensazione di levigatezza a rigidità che pervade le sculture. Winter è uno studio sulla perseveranza e la persistenza, un paesaggio artificiale che celebra le belle e spaventose qualità della stagione più fredda”.



La fotografia Fox Games e la scultura della volpe alla mostra “Sandy Skoglund. Visioni Ibride”, Torino 2019. Fotografie di Elena Barbaglio
Conclusione
In un mondo in cui la generazione di immagini attraverso l’Intelligenza Artificiale si fa sempre più pervasiva e raffinata, stupisce come qualcuno possa impegnare ore, mesi, giorni, anni, per costruire fisicamente e nei minimi dettagli un set di questo tipo, per poi fotografarlo e immergerci nelle sue visioni.
Stupisce che in questi lavori l’artista non usi nemmeno programmi di manipolazione delle immagini per alterare ciò che fotografa.
Stupisce, ma non sarebbe la stessa cosa fare questo stando seduti davanti ad un pc, e ce lo spiega la stessa artista:
«Spesso mi chiedono perché non realizzo le mie immagini al computer: cambierebbe il significato. Sapere che ciò che guardiamo è esistito davvero, modifica la nostra percezione dell’immagine. Si pensi ai film di Hollywood: se sappiamo che lo sfondo è costruito al computer la nostra esperienza della scena cambia; un’immagine costruita elettronicamente viene percepita in modo diverso rispetto a un’immagine fotografata. Di per sé non sono contro i computer come strumento, ma, per quanto riguarda il mio lavoro, l’immagine allo specchio dell’installazione ha un valore determinante»
E così ci ricorda che la meraviglia e la paura possono nascere ancora dal contatto diretto della materia del mondo, e che forse proprio da quest’ultima nasce la vera invadenza del sogno!
Di Elena Barbaglio | 17/10/2025
Le fotografie sono state prese dal web e utilizzate esclusivamente a fini informativi.
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